La costruzione della villa è probabilmente da far risalire agli ultimi anni del Cinquecento. Nei primi decenni del Seicento il complesso si mostrava come un edificio a tre piani, con l’area antistante sistemata con due barchesse. Tra il 1700 e il 1800 si susseguirono diverse trasformazioni che portarono all’aggiunta della famosa scala ottagonale aggettante. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, la villa passò in mano a diversi proprietari (tra cui i Venier ed Emo Capodilista), con diverse ridefinizioni della planimetria che causarono la sostanziale perdita delle caratteristiche tipiche della villa veneta.
Requisita durante la Seconda Guerra Mondiale dai tedeschi, la villa venne allora trasformata in un centro di raccolta di ebrei destinati alla deportazione verso i campi di sterminio. La parcellizzazione novecentesca, dovuta prima all’utilizzo del complesso come “lager” e poi alla trasformazione in “condominio comunale”, ha stravolto gli interni del fabbricato, che oggi ospita il Museo della Shoah e del Paesaggio.
La fronte dell’edificio è ancor oggi caratterizzata dall’ampia scalinata che porta direttamente al piano nobile, sorpassando i vani sottostanti in origine adibiti a servizi, e dalla sovrapposizione degli ordini: al piano terreno si osserva il bugnato rustico, cui si sovrappongono quattro semicolonne doriche che definiscono la forometria dell’ingresso; a seguire, la trifora del piano nobile ha semicolonne con capitello ionico, mentre nell’ulteriore sopraelevazione le lesene hanno capitello corinzio. La barchessa annessa ha grandi arcate a pieno centro.